La pretesa della rappresentanza esclusiva del cristianesimo biblico.
Dio il SIGNORE piantò un giardino in Eden, a oriente.
Gen 2,5 non c’era ancora sulla terra alcun arbusto della campagna. Nessuna
erba della campagna era ancora spuntata, perché Dio il SIGNORE non aveva fatto piovere sulla terra, e
non c’era alcun uomo per coltivare il suolo; 2,6 ma un vapore saliva dalla terra e bagnava tutta la
superficie del suolo.
2,7 Dio il SIGNORE formò l’uomo dalla polvere della terra, gli soffiò nelle narici un alito vitale e
l’uomo divenne un’anima vivente. 2,8 Dio il SIGNORE piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi pose
l’uomo che aveva formato. 2,9 Dio il SIGNORE fece spuntare dal suolo ogni sorta d’alberi piacevoli a
vedersi e buoni per nutrirsi, tra i quali l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della
conoscenza del bene e del male. Gen 2, 5- 9;
Con la denominazione "paradiso" – un prestito iraniano, che letteralmente significa
"recinzione" – fu tradotto erroneamente nella LXX, l’ ebraico "giardino di Dio" nella storia della
creazione di Gen 2 (LXX = Septuaginta: la più antica traduzione dell’ Antico Testamento in greco, la
lingua dell’ antico mondo ellenistico, circa III/II secolo a. C.). Da allora "paradiso", nell’ ebraismo greco, è un concetto religioso. Al contrario, l’ ebraismo ebraico non conosce questa espressione. Essa non compare nemmeno nell’ intero Antico Testamento ebraico, ma solo la denominazione del testo originale "giardino dell’ Eden" o "giardino di Dio".
Il nome, che si trova nell’ Antico Testamento per questo tratto di terra – perché esso è stato tale – , è "Eden". In questa terra dell’ Eden, e cioè ad Oriente di questa terra, Dio ha creato un meraviglioso e fiorito giardino e vi ha portato l’ essere umano. Attraverso la traduzione nella LXX, la denominazione "paradiso" è sopravvissuta ai secoli ed è fino ad oggi un sinonimo per il giardino dell’ Eden, nel quale Adamo ed Eva vissero immediatamente dopo la loro creazione. Ora, questo malinteso non sarebbe così grave, se non vi fosse un luogo che effettivamente – questa volta però nel Nuovo Testamento – venisse denominato con il nome di "paradiso".
«Io ti dico in verità, oggi tu sarai con me in paradiso».
Luc 42 E diceva: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno!» 43 Ed egli gli disse: «Io ti dico in verità, oggi tu sarai con me in paradiso». Luc 23,42-43;
Paolo fu rapito in paradiso.
2Cor 12,3 So che quell’uomo (se fu con il corpo o senza il corpo non so, Dio lo sa) 12,4 fu rapito in paradiso, e udì parole ineffabili che non è lecito all’uomo di pronunciare. 2Cor 12, 3- 4;
L’albero della vita, che è nel paradiso di Dio.
Apoc 2,7 Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese. A chi vince io darò da mangiare dell’albero della vita, che è nel paradiso di Dio".
Apoc 2, 7;
Questo ultimo testo qui sopra, tratto da Apoc 2,7 potrebbe anche essere quello che fa sempre continuamente sorgere l’ opinione erronea, secondo la quale il "giardino dell’ Eden" è identico a
questo "paradiso di Dio". In entrambi i testi – Es 2,9 e Apoc 2,7 – si parla dell’ "albero della vita". Solo in Es 2,9 siamo sulla terra, nella terra dell’ Eden, in un giardino ad Oriente di questa terra, mentre i luoghi neotestamentari, del tutto chiaramente, non descrivono un luogo terreno.
Perciò anche gli alberi della vita in questi testi non sono da vedere come assolutamente identici. Nella Gerusalemme celeste, nella Nuova Creazione – Apoc 22,1-2 – abbiamo intere serie di simili alberi della vita, su entrambe le rive del fiume con acqua viva.
In mezzo alla piazza della città e sulle due rive del fiume stava l’albero della vita.
Apoc 22,1 Poi mi mostrò il fiume dell’ acqua della vita, limpido come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell’Agnello. 22,2 In mezzo alla piazza della città e sulle due rive del fiume stava l’albero della vita. Esso dà dodici raccolti all’anno, porta il suo frutto ogni mese e le foglie dell’albero sono per la guarigione delle nazioni. Apoc 22, 1- 2;
Apoc 22,12 22,12 «Ecco, sto per venire e con me avrò la ricompensa da dare a ciascuno secondo le sue opere. 22,13 Io sono l’alfa e l’omega, il primo e l’ultimo, il principio e la fine. 22,14 Beati quelli che lavano le loro vesti per aver diritto all’albero della vita e per entrare per le porte della città! 22,15 Fuori i cani, gli stregoni, i fornicatori, gli omicidi, gli idolatri e chiunque ama e pratica la menzogna. Apoc 22,12-15;
(Vedi anche capitolo 14: "La Nuova Creazione.")
L’ "albero della vita" viene dunque menzionato in relazione ai seguenti luoghi:
- Nel giardino dell’ Eden – un giardino ad Oriente dell’ Eden, su quella terra della prima creazione (Gen 2,8).
- Nel paradiso di Dio – un luogo in cielo, nel quale soggiorna "chi vince" (Apoc 2,7).
- Nella nuova Gerusalemme – la città santa che scende dal cielo nella Nuova Creazione (Apoc 22,2.14).
Sulla base della dichiarazione di Apoc 2,7: "A chi vince io darò da mangiare dell’ albero della vita, che è nel paradiso di Dio", si potrebbe supporre che qui – come in Apoc 22,2.14 – si tratta della Gerusalemme celeste. Tuttavia la denominazione "vince" corrisponde piuttosto a "chi vince", ai vincitori, che risorgeranno con il Risveglio dai Morti e il Rapimento prima del Millennio. Anche nei capitoli 21 e 22 dell’ Apocalisse, dove questa Gerusalemme celeste viene descritta in modo molto preciso, la denominazione "paradiso" non viene utilizzata nemmeno una volta. E dunque il "paradiso di Dio" tratto da Apoc 2,7 non sembra identico alla Gerusalemme celeste, ma sembra, eppure, essere un luogo autonomo nella dimensione di Dio.
(Vedi anche capitolo 14: "La nuova creazione – La nuova Gerusalemme celeste.")
(Vedi anche tabella 12: "La Gerusalemme terrena e quella celeste.")
Perciò, per la seguente analisi, possiamo non prendere in considerazione sia "giardino dell’Eden" che anche "Gerusalemme celeste" e continuare a lavorare con quei passi biblici che si riferiscono direttamente al "paradiso".
Nel testo qui sopra, in Luca 23,43, il Signore dice al ladrone: "Oggi – (dunque dopo la morte sua e del ladrone) tu sarai con me in paradiso". Questa dichiarazione ammette l’ ipotesi che il paradiso abbia qualcosa a che fare con il Regno dei Morti, e perciò vogliamo informarci brevemente sulle dichiarazioni della Scrittura in tale contesto.
Nella Sacra Scrittura abbiamo due differenti espressioni per indicare gli inferi. Da un lato, il luogo dell’ eterna dannazione, il luogo definitivo della punizione, che in Apoc 19,20 e 20,14-15 viene definito "stagno di fuoco". Il processo che porta gli empi dopo la loro Risurrezione e la loro condanna nel Giudizio Universale in questa eterna dannazione, nello "stagno di fuoco", in Apoc 20,14 viene chiamato "morte seconda". Invece della denominazione "stagno di fuoco", nel Nuovo Testamento troviamo anche le espressioni "fuoco" (Giov 15,6; 1Cor ,15; 2Piet 3,7), "fuoco inestinguibile" (Mat 3,12; Mar 9,43.48; Luca 3,17), "fuoco eterno" (Mat 18,8; 25,41), "perdizione" (2Piet 3,7) e "eterna rovina" (2Tess 1,9).
E poi vi è quell’ ambito che ci interessa particolarmente qui in questo contesto: il Regno dei Morti. È il luogo di soggiorno limitato nel tempo degli esseri umani tra la loro morte e la loro Risurrezione. La denominazione ebraica utilizzata nell’ Antico Testamento a tale scopo è "Scheol", mentre nel Nuovo Testamento troviamo l’ espressione greca "ades". Lutero ha tradotto entrambi i concetti con "inferno".
Ora, se consideriamo lo Scheol anticotestamentario, allora esso viene essenzialmente rappresentato come un luogo dell’ oscurità e del silenzio nelle profondità della terra (Giob 7,9; 21,13; 33,24; Isa 14,15; Ez 32,18). Là non vi è "né lavoro, né pensiero, né scienza, né saggezza" (Ecc 9,10). Gli empi ammutoliscono nello Scheol (Sal 31,18) e là si trovano sia empi (Sal 9,18; Giob 24,19) che anche giusti (Isa 38,10).
Nel soggiorno dei morti dove vai, non c’è più né lavoro, né pensiero, né scienza, né saggezza.
Ecc 9,10 Tutto quello che la tua mano trova da fare, fallo con tutte le tue forze; poiché nel soggiorno dei morti dove vai, non c’è più né lavoro, né pensiero, né scienza, né saggezza. Ecc 9,10;
Scendono in un attimo nel soggiorno dei morti. Eppure, dicevano a Dio: "Ritìrati da noi!
Goib 21,13 Passano felici i loro giorni, poi scendono in un attimo nel soggiorno dei morti. 21.14 Eppure, dicevano a Dio: "Ritìrati da noi! Noi non ci curiamo di conoscere le tue vie! Goib 21,13-14;
Siano confusi gli empi, sian ridotti al silenzio nel soggiorno dei morti.
Sam 31,17 O SIGNORE, fa’ ch’io non sia confuso, perché t’invoco; siano confusi gli empi, siano ridotti al silenzio nel soggiorno dei morti. Sal 31,17;
Gli empi a tutte le nationi che dimenticano Dio se ne andranno al soggiorno dei morti.
Sal 9,17 Gli empi se ne andranno al soggiorno dei morti, sì, tutte le nazioni che dimenticano Dio. Sal 9,17;
Il soggiorno dei morti inghiotte chi ha peccato.
Giob 24,19 Come la siccità e il calore assorbono le acque della neve, così il soggiorno dei morti inghiotte chi ha peccato. Giob 24,19;
Fra gli abitanti del mondo dei trapassati, non vedrò più nessun uomo.
Isa 38,10 Io dicevo: «Al declino dei miei giorni devo andarmene alle porte del soggiorno dei morti; io sono privato del resto dei miei anni!» 38,11 Io dicevo: «Non vedrò più il SIGNORE, il SIGNORE, sulla terra dei viventi; fra gli abitanti del mondo dei trapassati, non vedrò più nessun uomo. Isa 38,10-11;
Ma anche l’ Ades neotestamentario si trova nelle profondità della terra, come affermano Mat 11,23 e Luca 10,15.
Tu scenderai fino all’Ades.
Mat 11,23 E tu, o Capernaum, sarai forse innalzata fino al cielo? No, tu scenderai fino all’ Ades. Perché se in Sodoma fossero state fatte le opere potenti compiute in te,
essa sarebbe durata fino ad oggi. Mat 11,23;
A differenza dello Scheol anticotestamentario, il Regno dei Morti nel Nuovo Testamento non appare più, però, come un luogo dell’ inoperosità. Anche i giusti e gli ingiusti non sono più riuniti. Come possiamo desumere dal testo qui sotto, il Regno dei Morti ospita da un lato l’ Ades, il luogo della sofferenza, nel quale gli empi e gli ingiusti sopportano la pena, e, dall’ altro, il "grembo di Abraamo", nel quale il povero Lazzaro viene consolato.
Il ricco e il povero Lazzaro.
Luca 16,19 «C’ era un uomo ricco, che si vestiva di porpora e di bisso, e ogni giorno si divertiva splendidamente; 16,20 e c’ era un mendicante, chiamato Lazzaro, che stava alla porta di lui, pieno di ulceri, 16,21 e bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; e perfino i cani venivano a leccargli le ulceri. 16,22 Avvenne che il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abraamo; morì anche il ricco, e fu sepolto.
16,23 E nell’ Ades, essendo nei tormenti, alzò gli occhi e vide da lontano Abraamo, e Lazzaro nel suo seno; 16,24 ed esclamò: "Padre Abraamo, abbi pietà di me, e manda Lazzaro a intingere la punta del dito nell’ acqua per rinfrescarmi la lingua, perché sono tormentato in questa fiamma".
16,25 Ma Abraamo disse: "Figlio, ricòrdati che tu nella tua vita hai ricevuto i tuoi beni e che Lazzaro similmente ricevette i mali; ma ora qui egli è consolato, e tu sei tormentato. 16,26 Oltre a tutto questo, fra noi e voi è posta una grande voragine, perché quelli che vorrebbero passare di qui a voi non possano, né di là si passi da noi".
16,27 Ed egli disse: "Ti prego, dunque, o padre, che tu lo mandi a casa di mio padre, 16,28 perché ho cinque fratelli, affinché attesti loro queste cose, e non vengano anche loro in questo luogo di tormento". 16,29Abraamo disse: "Hanno Mosè e i profeti; ascoltino quelli".
16,30 Ed egli: "No, padre Abraamo; ma se qualcuno dai morti va a loro, si ravvedranno".
16,31 Abraamo rispose: "Se non ascoltano Mosè e i profeti, non si lasceranno persuadere neppure se uno dei morti risuscita"». Luca 16,19-31;
E qui si impone per la prima volta il sospetto che tra l’ Antico Testamento e il Nuovo
Testamento in relazione al Regno dei Morti qualcosa debba essere cambiato.
Ora, la summenzionata parabola del povero Lazzaro viene spesso posta in discussione e il suo riferimento
alla realtà viene negato. Viene formulata l’ obiezione che questa parabola sia stata liberamente
inventata per intero e che perciò non sia adatta ad un proseguimento di interpretazione. Tuttavia, se
consideriamo le parabole del Signore, allora le persone che vi agiscono sono sempre fittizie, mentre le
condizioni di vita, nelle quali esse agiscono, sono assolutamente rapportate alla realtà.
Ora, non importa se questa è la parabola del seminatore, nella quale gli uccelli, il terreno roccioso,
il buon terreno e le spine corrispondono per così dire alla realtà, come quelle cose che esse provocano:
gli uccelli mangiano il seme, il terreno roccioso lo fa germogliare troppo presto, le spine coprono i
grani in crescita e solo il terreno buono porta il suo frutto.
(Vedi anche excursus 01: "La parabola del seminatore.")
Ma anche le parabole del fico, delle erbacce sotto il grano, del tesoro nel campo, così
come tutte le altre parabole del Signore, tutte dimostrano che i contenuti sul primo piano, sul piano
reale, sono assolutamente vicini alla realtà e non sono in nessun modo costrutti astratti.
(Vedi anche excursus 01: "L’interpretazione delle scritture profetiche.")
Perciò anche qui, in questa parabola, possiamo partire dal presupposto che il povero
Lazzaro e l’ uomo ricco non siano realmente esistiti, ma tutte le altre dichiarazioni però, come l’ Ades,
padre Abraamo e il "grembo di Abraamo", sono da vedere come dati del mondo dell’ aldilà.
Un ulteriore argomento, che viene addotto in relazione a questa parabola, è l’ idea che qui non il Regno
dei Morti, ma piuttosto già la Risurrezione Universale e con il "grembo di Abraamo", sia intesa la Nuova
Gerusalemme, e dunque l’ eternità.
Ma questo si può confutare in modo assolutamente chiaro. In Luca 16,27-28 si dice: "Ed egli disse: Ti prego, dunque, o padre, che tu lo mandi a casa di mio padre perché ho cinque fratelli, affinché attesti loro queste cose, e non vengano anche loro in questo luogo di tormento". Se questa storia si svolgesse alla fine del mondo, dopo il Giudizio Universale, non vi sarebbero più questo cielo e questa terra e i cinque fratelli del ricco non potrebbero nemmeno essere più sulla terra. Perciò questa parabola non può essere nemmeno una conseguenza del Giudizio Universale, ma rappresenta un avvenimento immediatamente dopo la morte o per meglio dire la sepoltura di entrambe le figure della parabola.
Sulla base delle dichiarazioni di Mat 11,23 e Luca 16,23, il luogo di soggiorno degli ebrei empi e dei pagani tra la morte e la Risurrezione Universale può essere supposto come un luogo comune. Così come in Luca 16,23-24 si dice del ricco che egli era nell’ Ades e soffriva "tormentato in questa fiamma", gli empi di tutto il mondo patiranno la sofferenza dopo la loro morte, in questo luogo del tormento.
In modo similare si tenta anche di spostare la promessa del Signore al ladrone sulla croce alla fine del mondo.
«Io ti dico in verità, oggi tu sarai con me in paradiso»
Luca 23,39 Uno dei malfattori appesi lo insultava, dicendo: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!» 23,40 Ma l’ altro lo rimproverava, dicendo: «Non hai nemmeno timor di Dio, tu che ti trovi nel medesimo supplizio? 23,41 Per noi è giusto, perché riceviamo la pena che ci meritiamo per le nostre azioni; ma questi non ha fatto nulla di male». 23,42 E diceva: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno!» 23,43 Ed egli gli disse: «Io ti dico in verità, oggi tu sarai con me in paradiso». Luca 23,39-43;
In tale questione controversa si tratta in principio del fatto dove si vogliono
collocare i due punti – che nel testo greco sono un
inserimento. Se si traduce "Oggi io ti dico in verità, tu sarai con me in paradiso", si suppone una
promessa per la fine del mondo. Oppure piuttosto come sta scritto più sopra "Io ti dico in verità, oggi
tu sarai con me in paradiso", e allora ciò implica un’ immediata realizzazione.
Ora, è relativamente interessante constatare che entrambe le concezioni nell’ evidente interpretazione
sono abbastanza differenti, ma dal punto di vista del contesto poggiano sulle stesse false premesse.
Infatti la discussione tratta del fatto se il ladrone ancora nello stesso giorno è in paradiso con il
Signore o solo in un tempo successivo, con il Risveglio dei Morti. Ora, equiparando in entrambi i casi
il paradiso con il cielo, si deduce nella prima direzione dell’ interpretazione che i morti giusti dopo
la loro morte non vengono nel Regno dei Morti, ma subito in cielo e saranno presso il Signore. Nel
secondo caso i morti giusti riposerebbero nel Regno dei Morti fino al loro Risveglio e solo dopo
risorgerebbero.
Tuttavia, quello che entrambe le direzioni dell’ esegesi non considerano assolutamente è
l’ interpretazione del "paradiso". Ma si parte automaticamente dal presupposto che qui si tratti del
cielo, al quale i morti giusti giungono – o ancora nel giorno della loro morte oppure soltanto alla fine
del mondo.
Ora, può essere che qui la dichiarazione tratta da Apoc 2,7 giochi un ruolo determinante. Là si dice: "A chi vince io darò da mangiare dell’ albero della vita, che è nel paradiso di Dio". E come spiegato all’ inizio, sia la denominazione "paradiso", sia il fatto che là vi è l’ "albero della vita", inducono a vedere qui il cielo.
Tuttavia, se consideriamo entrambi questi testi – Apoc 2,7 e Luca 23,43 – allora riconosciamo che entrambe le profezie vengono dal Signore. Una volta nella sua rivelazione a Giovanni, l’ altra al ladrone sulla croce. Non ultimo per questo motivo non si può dubitare della giustezza di queste dichiarazioni. Tuttavia il Signore non menziona esplicitamente in nessuno dei due testi il fatto che questo paradiso si trovi in cielo.
La dichiarazione nell’ Apocalisse è tratta dalla lettera all’ angelo della congregazione in Efeso e si riferisce a chi vince nelle congregazioni. Sono dunque i credenti in Cristo quelli cui ci si rivolge qui. E proprio di questi credenti in Cristo, Paolo ci dice in 1Tess 4,16-17 che essi – dopo essere morti – vengono risvegliati dai morti con il Ritorno del Signore e rapiti in cielo insieme ai viventi presso il Signore. Se dunque il paradiso fosse in cielo, essi sarebbero là già dalla loro morte e qui non avrebbero più bisogno di essere rapiti.
Quelli che sono morti in Cristo risusciteranno per primi;
1Tess 4,16 perché il Signore stesso con un potente comando, con voce di arcangelo con la tromba di Dio discenderà dal cielo, e quelli che sono morti in Cristo risusciteranno per primi; 4,17 poi noi viventi, che saremo rimasti saremo rapiti assieme a loro sulle nuvole, per incontrare il Signore nell’aria; così saremo sempre col Signore. 1Tess 4,16-17;
E la promessa al ladrone è in realtà ora più che mai la prova che con il paradiso non
può essere inteso il cielo. Infatti, nella Scrittura abbiamo la conferma più volte ripetuta del fatto
che il Signore, immediatamente dopo la sua morte, non è sceso in cielo, ma nel Regno dei Morti.
Il Figlio dell’ uomo starà nel cuore della terra tre giorni e tre notti.
Mat 12,38 Allora alcuni scribi e farisei presero a dirgli: «Maestro, noi vorremmo vederti fare un segno». 12,39 Ma egli rispose loro: «Questa generazione malvagia e adultera chiede un segno; e segno non le sarà dato, tranne il segno del profeta Giona.
12,40 Poiché, come Giona stette nel ventre del pesce tre giorni e tre notti, così il Figlio dell’ uomo starà nel cuore della terra tre giorni e tre notti. Mat 12,38-40;
Che cosa vuol dire se non che egli era anche disceso nelle parti più basse della terra?
Effe 4,8 Per questo è detto: «Salito in alto, egli ha portato con sé dei
prigionieri e ha fatto dei doni agli uomini». 4,9 Ora, questo «è salito» che cosa vuol dire se non
che egli era anche disceso nelle parti più basse della terra? 4,10 Colui che è disceso, è lo stesso
che è salito al di sopra di tutti i cieli, affinché riempisse ogni cosa. Effe 4, 8-10;
È stato annunciato il vangelo anche a coloro che sono morti.
1Piet 4,6 Infatti per questo è stato annunciato il vangelo anche a coloro che sono morti; affinché, seppur essendo stati giudicati nella carne secondo gli uomini, potessero vivere nello Spirito secondo Dio. 1Piet 4, 6;
Qui, dunque, non abbiamo soltanto la decisa dichiarazione che il Signore dopo la sua
morte è sceso nelle profondità della terra, nel Regno dei Morti, ma anche la spiegazione di ciò che egli
ha fatto in quel tempo nel Regno dei Morti: così come quando era in vita ha fatto ai viventi, ora, egli,
in quanto morto, annuncia il Vangelo ai morti nel Regno dei Morti.
Egli sarebbe risorto dai morti il terzo giorno.
Luca 24,45 Allora aprì loro la mente per capire le Scritture e disse loro: 24,46 «Così è scritto, che il Cristo avrebbe sofferto e sarebbe risorto dai morti il terzo giorno, Luca 24,45-46;
Infine, però, abbiamo anche le ripetute dichiarazioni nel Nuovo Testamento, che Cristo è
"risorto dai morti". Cosa significa questo se non che egli era prima nel Regno dei Morti, proprio tra
questi morti?
E qui ora si chiude la catena delle argomentazioni: se il Signore immediatamente dopo la sua morte, e
dunque in quel giorno che nei confronti del ladrone definì "oggi", è sceso nelle profondità della terra,
nel Regno dei Morti ed è risorto soltanto il terzo giorno, allora anche il ladrone – secondo la promessa
del Signore – è venuto là con lui nel giorno della sua morte. Perciò, questo luogo non può essere in
cielo, ma può trattarsi soltanto del luogo di soggiorno dei morti, e dunque del Regno dei Morti.
Un’ ulteriore conferma del fatto che il paradiso non è in cielo, ce la dà Paolo qui sotto in 2Cor 12,1-4.
Le rivelazioni di Paolo.
2Cor 12,1 Bisogna vantarsi? Non è una cosa buona; tuttavia verrò alle
visioni e alle rivelazioni del Signore. 12,2 Conosco un uomo in Cristo che quattordici anni fa (se fu
con il corpo non so, se fu senza il corpo non so, Dio lo sa), fu rapito fino al terzo cielo. 12,3
So che quell’ uomo (se fu con il corpo o senza il corpo non so, Dio lo sa) 12,4 fu rapito in paradiso, e udì parole ineffabili che non è lecito all’ uomo di pronunciare. 2Cor 12, 1- 4;
Egli ci racconta di due rivelazioni del Signore, che gli toccarono. In un’ occasione – quattordici anni prima come egli scrive ai Corinzi – egli fu rapito fino al terzo cielo, nell’ altra in paradiso. Se non conosciamo anche gli ulteriori contenuti di queste rivelazioni, allora comprendiamo che vi sono almeno tre cieli e capiamo ora anche la ripetuta menzione dei "cieli" (plurale) nell’ Antico Testamento e nel Nuovo Testamento (per esempio Deut 33,26; Sal 11,4. 89,3; 115,3; Nee 9,6; Luca 10,20; 12,33; 21,26; 2Piet 3,7-10-12; etc.).
Sulla base della menzione separata, si può concludere che il suo rapimento in paradiso fu un altro avvenimento rispetto a quello del rapimento nel terzo cielo. Apprendiamo che in paradiso vengono pronunciate "parole inesprimibili", "che nessun essere umano può dire". E infine si deve riconoscere che il paradiso non è da localizzare in cielo, e specialmente non nel terzo cielo, ma che Paolo qui, nella sua giustificazione ai Corinzi – che gli hanno evidentemente rimproverato il fatto che egli non dovrebbe esibire come gli altri le "rivelazioni" – voleva indicare di essere stato sia sopra nel cielo sia anche nelle profondità della terra e che dunque non era inferiore in nulla a queste persone.
Che i cieli e il paradiso siano ambiti separati delle altre dimensioni, viene confermato anche dall’ analisi di Luca 23,43 condotta all’ inizio. Anche là il Signore dopo la sua morte non è assolutamente asceso al cielo. Egli è piuttosto sceso nel Regno dei Morti e solo dopo tre giorni è stato rapito in cielo. Quando egli dunque ha detto al ladrone: "Oggi sarai con me in paradiso", egli poteva indicare dunque soltanto il Regno dei Morti e assolutamente non – come alcuni ritengono – il cielo.
Il paradiso sembra dunque quella parte del Regno dei Morti, nella quale i fedeli in Cristo soggiornano nel tempo intermedio tra la morte e il Risveglio dai Morti. E per ritornare alla dichiarazione di Paolo più sopra, in 2Cor 12,1-4, si può ora concludere che egli era nei due rapimenti menzionati la prima volta nel terzo cielo, la seconda volta però nel paradiso del regno dei morti.
Nella stessa lettera – la seconda ai Corinzi – Paolo parla anche della propria morte.
Ma siamo pieni di fiducia e preferiamo partire dal corpo e abitare con il Signore.
2Cor 5,1 Sappiamo infatti che se questa tenda che è la nostra dimora
terrena viene disfatta, abbiamo da Dio un edificio, una casa non fatta da mano d’ uomo, eterna, nei
cieli. 5,2 Perciò in questa tenda gemiamo, desiderando intensamente di essere rivestiti della nostra
abitazione celeste, 5,3 se pure saremo trovati vestiti e non nudi.
5,4 Poiché noi che siamo in questa tenda gemiamo, oppressi; e perciò desideriamo non già di essere
spogliati, ma di essere rivestiti, affinché ciò che è mortale sia assorbito dalla vita. 5,5 Or colui che
ci ha formati per questo è Dio, il quale ci ha dato la caparra dello Spirito. 5,6 Siamo dunque sempre
pieni di fiducia, e sappiamo che mentre abitiamo nel corpo siamo assenti dal Signore 5,7 (poiché
camminiamo per fede e non per visione); 5,8 ma siamo pieni di fiducia e preferiamo partire dal corpo
e abitare con il Signore. 5, 9 Per questo ci sforziamo di essergli graditi, sia che abitiamo nel corpo, sia che ne partiamo.
5,10 Noi tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno riceva la
retribuzione di ciò che ha fatto quando era nel corpo, sia in bene sia in male. 2Cor 5, 1-10;
Paolo ci fa il dono qui di un’ ulteriore informazione. Egli parla di se stesso e del suo
trapasso e dà espressione alla sua certezza, se la sua casa terrena, la sua capanna, viene demolita, se
dunque il suo corpo biologico muore, egli ha in cielo una costruzione, una casa, dunque un nuovo corpo
spirituale (una costruzione edificata da Dio), la cui esistenza è eterna.
(Vedi anche excirsus 07: "Il corpo della risurrezione.")
Importante nel nostro contesto è la dichiarazione secondo la quale questo sarà in c i e
l o. Paolo parla dunque qui non del suo soggiorno intermedio nel Regno dei Morti, in paradiso, ma già
della sua successiva, definitiva esistenza in cielo, con il corpo spirituale, che egli riceverà dopo il
suo Risveglio dai Morti. Con questo corpo spirituale – "l’ abitazione celeste" – anche i fedeli vengono
"rivestiti" con il Risveglio dai Morti e il Rapimento, quando essi vengono rapiti al Signore in cielo.
E così Paolo porta ad espressione anche il suo desiderio e la sua speranza "non già di essere spogliati,
ma di essere rivestiti". Questo è proprio un riferimento al fatto che Paolo ha sperato il ritorno del
Signore e dunque il Rapimento suo e degli eletti quando era ancora in vita. Egli non voleva tanto essere
"spogliato" – e dunque morire con il suo corpo terreno e aspettare in paradiso il Risveglio dai Morti –
quanto piuttosto essere immediatamente "rivestito", ossia, con il Ritorno del Signore e il Rapimento
degli eletti, ascendere al cielo presso il Signore con loro ancora in vita, mentre il loro corpo terreno
viene trasformato in un corpo celeste.
Questo però è anche un chiaro riferimento al fatto che Paolo sapeva molto bene che egli
– se non dovesse esperire il Ritorno del Signore e dunque il proprio "rivestimento" con il Rapimento –
con la sua morte sarebbe stato "spogliato" e non sarebbe venuto in cielo, ma avrebbe aspettato il
Risveglio dai Morti nel paradiso del Regno dei Morti.
(Vedi anche capitolo 06: "Il ritorno del Signore.")
Infine, apprendiamo però anche nel versetto 2Cor 5,8 che la differenza per i fedeli
tra il soggiorno transitorio in paradiso e l’ esistenza definitiva, eterna in cielo può essere
espressamente puramente enorme, ma è assolutamente paragonabile in riferimento al sentimento di
sicurezza di ogni singolo fedele. Infatti, quando Paolo qui scrive che "preferiamo partire dal corpo e
abitare con il Signore", allora comprendiamo quanto segue: non importa se nel paradiso del Regno dei
Morti o nell’ eternità, in entrambi i luoghi siamo "a casa dal Signore".
E questo desiderio di essere con Cristo, Paolo lo menziona anche nella sua lettera ai Filippesi:
Da una parte ho il desiderio di partire e di essere con Cristo, perché è molto meglio; ma, dall’ altra, il mio rimanere nel corpo è più necessario per voi.
Fil 1,21 Infatti per me il vivere è Cristo e il morire guadagno. 1,22 Ma se
il vivere nella carne porta frutto all’ opera mia, non saprei che cosa preferire. 1,23 Sono stretto da
due lati: da una parte ho il desiderio di partire e di essere con Cristo, perché è molto meglio;
1,24 ma, dall’ altra, il mio rimanere nel corpo è più necessario per voi. Fil 1,21-24;
Perciò qui possiamo infine constatare che quello che viene definito "paradiso" dal Signore in Luca 23,43 e da Paolo in 2Cor 12,4, non è altro che quell’ ambito del Regno dei Morti nel quale i fedeli in Cristo soggiornano fino al loro Risveglio dai Morti. I giusti anticotestamentari sono secondo Luca 16,19-31 nel grembo di Abraamo, mentre tutti gli empi e gli ingiusti – anche quelli dallo Scheol anticotestamentario – devono patire le pene nell’ Ades, il luogo del tormento.
Al più tardi qui si pone però la domanda come allora sia da spiegare questa descrizione
totalmente diversa del Regno dei Morti nella Scrittura – lo Scheol nell’ Antico Testamento con silenzio e
inattività da un lato e dall’ altro nel Nuovo Testamento l’ Ades e il paradiso con comunicazione, pena per
gli ingiusti e consolazioni per i giusti.
Il versetto chive a tale proposito lo troviamo in Apoc 1,17-18:
Io tengo le chiavi della morte e dell’ Ades.
Apoc 1,17 Quando lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli pose la
sua mano destra su di me, dicendo: «Non temere, io sono il primo e l’ ultimo, 1,18 e il vivente. Ero
morto, ma ecco sono vivo per i secoli dei secoli, e tengo le chiavi della morte e dell’ Ades. Apoc 1,17-18;
È il Signore Gesù che spiega a Giovanni che egli era morto e che è vivo e che ha la
chiave della morte e dell’ Ades. E qui comprendiamo che il Golgota produsse delle conseguenze non
soltanto in cielo e sulla terra, ma anche nelle profondità della terra, nel Regno dei Morti.
Più sopra, in Efes 4,8-10 e 1Piet 4,6, abbiamo visto che il Signore ai morti nello Scheol, che non erano senza coscienza (Isa 14,9-10), ha predicato il Vangelo, così come egli ha fatto anche quando era in vita sulla terra. Questo era necessario soltanto nella misura in cui tutti gli esseri umani morti fino a quel momento non avevano mai sentito la Buona Novella della Salvezza dalla grazia e perciò non avevano nemmeno alcuna possibilità di decidersi nella loro vita per o contro Dio e Gesù Cristo.
Questa predica, la cui diffusione ci se l’ è immaginata non acustica (solo 3 giorni per centinaia di milioni di morti!), ma piuttosto spirituale e perciò anche contemporanea a tutti gli ascoltatori, ha condotto sicuramente anche tra i morti ad un’ eco discordante. I giusti, che fino a questo momento aspettavano insieme agli ingiusti e agli empi nello Scheol, hanno accolto queste parole probabilmente con gioia e hanno lodato il Signore. Ma anche tra gli altri – così come era anche tra i viventi – di certo molti sono giunti alla fede nel Signore.
Tuttavia, a differenza dei viventi, ai quali Dio fino all’ ultimo secondo della loro vita (si veda il ladrone sulla croce!) concede l’ opportunità di convertirsi e così di essere salvato, questi morti qui, nello Scheol, con la predicazione del Vangelo per mano del Signore, hanno soltanto questa unica e dunque ultima opportunità. E poiché per tutti questi morti questa ultima decisione – salvezza o dannazione – è
toccata in questa occasione, la loro eterna e definitiva sorte potrebbe già in questo momento prendere la sua strada. Tuttavia nel piano di Dio sono previsti ancora migliaia di anni tra il Golgota e l’ eternità. Un tempo nel quale ancora milioni se non miliardi di esseri umani dovrebbero giungere alla fede nell’ uno ed unico Dio e in suo Figlio Gesù Cristo.
Questa è una situazione paragonabile, come troveremo anche più tardi con il Ritorno del Signore. Anche qui teoricamente potrebbe già iniziare l’ eternità, poiché tutti i Gentili sono stati sconfitti e hanno riconosciuto che vi è un solo Dio. Ma Dio anche qui come prima ha previsto il Regno di Pace millenario del Signore Gesù come ricompensa o punizione per gli esseri umani e come pre-compimento della promessa finale.
(Vedi anche capitolo 10: "Il Millennio.")
E simile sembra essere anche con i morti dopo il Golgota. L’ eternità cioè non è ancora
iniziata, ma tutti i morti dovrebbero – secondo la decisione che essi ora hanno preso – ricevere la
ricompensa promessa o anche la punizione promessa come pre-compimento della loro sorte definitiva. E così il Signore apre il Regno dei Morti, come leggiamo più sopra in Apoc 1,18, e conduce i fedeli nel paradiso di Dio, dove essi vivranno fino alla loro Risurrezione e mangeranno dall’ albero della vita. Questo potrebbe averlo detto anche Paolo nella sua lettera agli Efesini, quando più sopra, in Efe 4,8, scrive: "Salito in alto, egli ha portato con sé dei prigionieri e ha fatto dei doni agli uomini".
E così troviamo il ladrone dalla croce – probabilmente in quanto primo essere umano in assoluto – in paradiso, mentre il povero Lazzaro viene consolato nel grembo di Abraamo – il luogo di soggiorno dei giusti anticotestamentari. Il ricco uomo tratto da Luca 16,19-31 al contrario si trova – come tutti gli empi e gli ingiusti – nell’ Ades, dove patisce nel fuoco tormenti e pena.
Così come il Millennio non sarà ancora l’ eternità, anche l’ Ades non è ancora lo stagno di fuoco e il paradiso di Dio non è ancora la Gerusalemme celeste. Tuttavia tutti e tre sono un assaggio di ciò che quegli esseri umani che vi vivono, devono aspettarsi in futuro.
Nei due passi biblici summenzionati si può però riconoscere ancora un ulteriore aspetto. È la differenza tra l’ attesa della salvezza degli ebrei e quella dei cristiani.
Nella parabola del povero Lazzaro il Signore parla del fatto che questo dopo la sua morte venne portato dagli angeli nel "grembo di Abraamo". Per gli ebrei di fede mosaica del tempo di allora come del resto anche del tempo attuale, che si comprendono come "figli di Abraamo", questo è il compimento dei loro sogni, la ricompensa per una vita devota. Riconosciamo qui il cammino di salvezza anticotestamentario e dunque il cammino di salvezza degli ebrei. Attraverso il rifiuto del Messia essi fino ad oggi non hanno alcuna remissione dei peccati dalla grazia. Essi aspettano la ricompensa per le loro buone azioni e la punizione per i loro peccati.
Del tutto diverso il cammino di salvezza neotestamentario dei cristiani. Come abbiamo visto più sopra con il ladrone, questo essere umano fu apparentemente fino all’ ultima ora della sua vita un delinquente. Egli non doveva probabilmente esibire nessuna azione che sarebbe stata da ricompensare da Dio. Il suo unico merito era che egli aveva creduto in Gesù Cristo come il Figlio di Dio. Mentre completamente tutti hanno schernito il Nazareno sulla croce, egli era uno dei pochi che aveva creduto in lui.
E che questo effettivamente sia stata pura fede, ci risulta noto quando ci immaginiamo il Signore sulla croce: pieno di sangue e ferite a causa della flagellazione, con una ridicola corona di spine sul capo, le mani e i piedi perforati e il corpo contrassegnato dalla morte. Qui non c’ era nulla più che avrebbe potuto nutrire una speranza terrena. Non vi era motivo di aspettare ancora un qualche aiuto da questo crocifisso. E tuttavia il ladrone dice: "ricordati di me quando entrerai nel tuo regno!". E questo faccia a faccia anche con la propria morte.
E sebbene il Signore sulla croce non avesse controbattuto nemmeno una parola a tutta la derisione e allo scherno di quelli che stavano intorno, la sua bocca si apre a questa preghiera del suo compagno crocifisso: "Io ti dico in verità, oggi tu sarai con me in paradiso".
Questo ladrone è dunque salvato. Egli non morirà la "seconda morte". Ma la sua salvezza non avvenne a causa delle buone azioni. Egli non era un giusto, era un credente. E secondo la concezione ebraica, egli non può mai e poi mai arrivare nel "grembo di Abraamo".
Tuttavia il cammino di salvezza cristiano ha un aspetto completamente diverso. Da quando il Figlio di Dio ha vissuto su questa terra ed è morto per i nostri peccati, vi è un unico criterio per la nostra salvezza:
La fede in Gesù Cristo, il Figlio di Dio e nel suo sacrificio per i nostri peccati.
Chi crede nel Figlio ha vita eterna.
Giov 3,36 Chi crede nel Figlio ha vita eterna, chi invece rifiuta di credere al Figlio non vedrà la vita, ma l’ ira di Dio rimane su di lui». Giov 3,36;
Questo, ora, però non vuole dire che il cristiano non compirebbe nessuna buona azione.
Anche il ladrone – se avesse avuto la possibilità di continuare a vivere – da questo momento sicuramente non avrebbe più condotto una vita criminale, ma sarebbe cambiato. Così come sappiamo da Maria di Magdala.
Sono i motivi che differenziano ebrei e cristiani. Mentre gli ebrei – e purtroppo anche determinati orientamenti nella cristianità – compiono perciò le loro buone azioni per elencarle su un "conto" e alla fine dei loro giorni potere presentare a Dio la "situazione del conto", il movente del cristiano credente per il suo agire è l’ amore. L’ amore per il suo Dio e per il suo prossimo.
E qui comprendiamo anche come queste due concezioni siano diametralmente opposte. Gli ebrei sono buoni e giusti, perché essi temono – devono temere – la punizione per i peccati. Infatti il peso dei loro peccati non può essere preso loro senza l’ accettazione del sacrificio di Cristo. Essi fanno ciò che è ordinato loro nella "legge", e dunque nei comandamenti della Torah. Per essa Dio è un Dio punitivo. Egli è il loro Signore e il loro Dio ed essi sono i suoi servi e le sue serve.
I cristiani sono buoni e giusti per amore. Il loro più grande comandamento è: ama Dio con tutto il
cuore. E nell’ amore verso Dio sono racchiusi tutti i suoi comandamenti ed anche l’ amore per gli esseri umani e per la sua intera creazione. Essi hanno il Salvatore, il Figlio di Dio, che è morto per i loro peccati. Per loro Dio è un Dio che ama. Egli è il loro Padre ed essi sono i suoi figli.
Mentre i cristiani sono salvati attraverso l’ accettazione del sacrificio del riscatto di Cristo, gli ebrei sono ancora nei loro peccati. A causa del fatto che essi non vollero riconoscere il loro Messia, quando egli era giunto a loro, che non vollero essere "nati", come il seguente passo biblico dice, essi non hanno alcun Redentore per i loro peccati. Questo glielo aveva tra gli altri predetto già il profeta Osea.
Poiché, quand’ è giunto il momento, non si presenta per nascere.
Os 13,9 «È la tua perdizione, Israele, l’ essere contro di me, contro il tuo aiuto. 13,10 Dov’ è dunque il tuo re? Ti salvi egli in tutte le tue città! Dove sono i tuoi giudici, dei quali dicevi: "Dammi un re e dei capi!"? 13,11 Io ti do un re nella mia ira e te lo riprendo nel mio furore.
13,12 L’ iniquità di Efraim è legata in fascio, il suo peccato è tenuto in serbo. 13,13 Dolori come quelli di donna che partorisce verranno per lui; egli è un figlio non saggio; poiché, quand’è giunto il momento, non si presenta per nascere. Os 13, 9-13;
E mentre gli ebrei devono percorrere il cammino scelto da loro fino alla fine che gli piaccia o meno, quei cristiani che ritengono di dovere percorrere anch’ essi il "cammino ebraico" senza
il sacrificio del riscatto di Cristo, sono gli ingannati. Essi potrebbero essere assolti nella fede, per grazia. Ma essi vogliono essere giudicati secondo la legge. È come se un bambino appena nato volesse ritornare nel corpo di sua madre. Infatti il cammino della salvezza del cristiano non è appunto più salvezza attraverso la legge e obbedienza per timore come presso gli ebrei, ma salvezza attraverso la grazia e obbedienza per amore.
Ama il tuo prossimo come te stesso.
Mat 22,35 E uno di loro, dottore della legge, lo interrogò per metterlo alla prova, dicendo: 22,36 «Maestro, qual è il grande comandamento della legge?». 22,37 E Gesù gli disse: «"Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’ anima tua e con tutta la tua mente". 22,38 Questo è il primo e il gran comandamento. 22,39 E il secondo, simile a questo, è: "Ama il tuo prossimo come te stesso" (Lev 19,18). 22,40 Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti». Mat 22,35-40;
La pretesa della rappresentanza esclusiva del cristianesimo biblico.Dio è raggiungibile da ogni singola persona che lo desidera. |
Ora, il Signore più sopra, in Mat 22,39, menziona l’ "altro" comandamento, che tuttavia è uguale al primo comandamento dell’ amore di Dio: devi amare il prossimo tuo come te stesso. E qui già ai tempi di Gesù vi sono state delle difficoltà di comprensione, che il Signore ha cercato di spiegare con la parabola del buon Samaritano.
Il buon Samaritano.
Luc 10,25 Ed ecco, un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova, dicendo: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?» 10,26 Gesù gli disse: «Nella legge che cosa sta scritto? Come leggi?» 10,27 Egli rispose: «Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’ anima tua, con tutta la forza tua, con tutta la mente tua, e il tuo prossimo come te stesso». 10,28 Gesù gli disse: «Hai risposto esattamente; fa’ questo, e vivrai».
10,29 Ma egli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?» 10,30 Gesù rispose: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico, e s’ imbatté nei briganti che lo spogliarono, lo ferirono e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto.
10,31 Per caso un sacerdote scendeva per quella stessa strada, ma quando lo vide, passò oltre dal lato opposto. 10,32 Così pure un Levita, giunto in quel luogo, lo vide, ma passò oltre dal lato opposto. 10,33 Ma un Samaritano, che era in viaggio, giunse presso di lui e, vedendolo, ne ebbe pietà; 10,34 avvicinatosi, fasciò le sue piaghe versandovi sopra olio e vino, poi lo mise sulla propria cavalcatura, lo condusse a una locanda e si prese cura di lui. 10,35 Il giorno dopo, presi due denari, li diede all’ oste e gli disse: "Prenditi cura di lui; e tutto ciò che spenderai di più, te lo rimborserò al mio ritorno".
10,36 Quale di questi tre ti pare essere stato il prossimo di colui che s’ imbatté nei ladroni?» 10,37 Quegli rispose: «Colui che gli usò misericordia». Gesù gli disse: «Va’ , e fa’ anche tu la stessa cosa». Luc 10,25-37;
Questa parabola è probabilmente quella che a causa del modo di vedere superficiale nel mondo fu e viene per lo più fraintesa. In questo fraintendimento non si tratta – per anticipare questo – dell’ esortazione ad essere misericordioso e pronto ad aiutare. Questo è giusto e importante e risulta del tutto chiaramente dalla dichiarazione del Signore alla fine della parabola, nel versetto Luca 10,37.
Il fraintendimento si basa piuttosto sul fatto che la risposta alla domanda dello scriba viene erroneamente interpretata. Ed anche alcuni esegeti si impegolano nel testo della parabola e rispondono con ogni ricchezza di particolari alla domanda perché sacerdote e levita – a differenza del Samaritano – non hanno aiutato l’ assalito, senza porre la dovuta attenzione alla vera domanda di questa parabola: "Chi è il mio prossimo" e "Chi devo amare come me stesso".
L’ opinione comune – che viene comprensibilmente ripresa e diffusa da ogni sorta di istituzione sociale – è che qui veniamo esortati da Dio ad amare tutti i poveri e i bisognosi di aiuto come amiamo noi stessi, e a dare loro per questo nostro amore un aiuto e un sostegno corrispondenti.
Ora, però, se consideriamo questo testo più da vicino, riconosciamo una dichiarazione un po’ diversa. Là infatti si dice nella domanda finale del Signore allo scriba:
"Quale di questi tre ti pare essere stato il prossimo di colui che s’ imbatté nei ladroni?"
Gli viene dunque domandato chi sia il prossimo – e cioè il prossimo per colui che era caduto nelle mani dei briganti. Questa dovrebbe allora essere la risposta alla sua domanda tratta dal versetto Luca 10,29: "E chi è il mio prossimo?".
Contemporaneamente questa è però anche la concretizzazione della persona del "prossimo" dal secondo comandamento – dopo il comandamento dell’ amore di Dio – e definisce per noi cristiani quegli esseri umani che dobbiamo amare come noi stessi. E qui nella summenzionata domanda del Signore – e nella risposta dello scriba – riconosciamo una differenza dall’ interpretazione corrente.
Il Signore domanda chi è diventato il prossimo a quell’ uomo che era caduto nelle mani dei briganti. E lo scriba rispose: "Colui che gli usò misericordia". Perciò colui che aveva bisogno di aiuto non è stato il prossimo del Samaritano, ma al contrario, il Samaritano si è rivelato, attraverso il suo aiuto, il prossimo dell’ assalito.
Da questo emerge però la conseguenza che qui non viene comandato ai samaritani – ossia dunque a coloro che aiutano – di "amare come se stessi" i poveri e i bisognosi di aiuto. Essi dovrebbero essere misericordiosi e aiutarli. Dunque, alla fine, essi provano che anche loro amano questi bisognosi. Ma sono quei bisognosi che sono stati aiutati da loro, che – secondo questo comandamento di Dio – vengono esortati ad amare "come se stessi" coloro che li aiutano.
E qui comprendiamo anche la differenza dall’ interpretazione comune. Mentre questa tenta – invertendo il significato lessicale – di comunicare l’ impressione che in questa parabola l’ assalito sia il prossimo del Samaritano e postula che i poveri del mondo intero sono i prossimi dei più benestanti, il Signore qui intende da un lato l’ aiuto del tutto personale nell’ ambiente immediatamente circostante e comanda dall’ altro a quelli che sono stati aiutati di amare i loro aiutanti "come se stessi".
Il comandamento dell’ amore per il prossimo è dunque secondo le parole del Signore in questa parabola: ama gli esseri umani che ti hanno aiutato e mostra loro parimenti il tuo amore così come essi ti hanno mostrato il loro amore, aiutandoti. L’ amore per il prossimo non è perciò una categoria della compassione, ma una categoria della gratitudine.
E come si può facilmente riconoscere, questo comandamento non vale soltanto per i poveri e i bisognosi. Esso vale anche per noi, che non siamo bisognosi. Dobbiamo essere grati a tutti coloro che nella vita ci hanno aiutato – genitori, fratelli e sorelle, parenti, conoscenti, amici ed anche estranei, che ci sono stati vicino in una situazione di necessità e dovremmo amarli come amiamo noi stessi. Tutti loro sono nostri prossimi.
Infine si potrebbe porre anche la domanda, cosa dovrebbe propriamente significare: "amare (…) come te stesso". Tuttavia, la risposta a tale proposito non dovrebbe essere veramente difficile: tutto ciò che
concedo a me stesso, fino persino ai miei errori, che io tollero – tutto questo dovrei concederlo anche
ai miei prossimi – materialmente o idealmente. E con ciò trova risposta contemporaneamente anche la domanda sulla proporzionatezza: ciò che io stesso non mi posso o non voglio permettermi – secondo questa definizione – non devo accettarlo nemmeno nei miei prossimi.
Con il riferimento finale più sopra, in Luca 10,37: "Va’ , e fa’ anche tu la stessa cosa" il Signore informa lo scriba contemporaneamente che la formulazione della sua domanda era falsa. La domanda non deve essere "E chi è il mio prossimo", ma "Di chi devo essere il prossimo?".
Come si vede, questa legge è il comandamento agli esseri umani di amarsi l’ un l’ altro. Una volta, aiutando il bisognoso e dunque facendosi riconoscere come suo prossimo, l’ altra volta, quando veniamo aiutati, amando questo misericordioso, il nostro prossimo, anche e in particolare per il fatto che egli ci ha aiutati.
Questo ci viene posto davanti agli occhi ancora una volta anche da Paolo nella lettera ai Romani.
L’ amore quindi è l’ adempimento della legge.
Rom 13,9 Infatti il (Es 20,13-17) «non commettere adulterio», «non uccidere», «non rubare», «non concupire» e qualsiasi altro comandamento si riassumono in questa parola (Lev 19,18): «Ama il tuo prossimo come te stesso». 13,10 L’ amore non fa nessun male al prossimo; l’ amore quindi è l’ adempimento della legge. Rom 13, 9-10;
E qui il cerchio si chiude nuovamente al primo comandamento, quello dell’ amore di Dio. Infatti, se noi amiamo colui che è misericordioso verso di noi, allora da ciò risulta automaticamente che ameremo anche colui che dall’ inizio fu misericordioso con noi, che ci ha creati e che ogni giorno è nuovamente misericordioso con noi, facendo levare il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni.
Questo è precisamente il fatto che da Adamo ed Eva viene considerato solo troppo poco dagli esseri umani. Se i primi esseri umani si fossero orientati con la loro decisione di credere a Dio o al diavolo, dal fatto di chi è realmente il loro prossimo, chi li creò e creò ogni cosa attorno a loro per loro, essi avrebbero necessariamente riconosciuto che era Dio che voleva il meglio per loro e non il diavolo, che è egli stesso una creatura di Dio e che fino a quel momento non aveva mosso una mano per loro.
E così comprendiamo anche il contesto della dichiarazione del Signore in Mat 22,39, che dice di questi due comandamenti, che essi sono "uguali" e che da essi dipendono l’ intera legge e i profeti.
L’amore per il prossimo.Similmente come la falsa interpretazione dei "minimi
dei miei fratelli" tratta da Mat 25,40, la totale inversione di senso del concetto biblico
dell’"amore per il prossimo" attraverso le chiese, i predicatori e le
organizzazioni umanitarie, è una delle più grandi truffe, per suscitare la compassione nei
contemporanei creduloni e senza molta spesa accumulare i ricavati dalle offerte. Questo, dunque, è quanto dice questa parabola del Signore Gesù. Ed essa
dice anche: se qualcuno personalmente viene da te o tu personalmente lo
incontri ed egli personalmente chiede il tuo aiuto o tu vedi che egli
personalmente necessita di aiuto, allora, in quanto cristiano biblico, tu dovresti
personalmente aiutarlo. Ed egli, in quanto cristiano biblico – secondo
Mat 22,39 – , dovrebbe amarti personalmente per gratitudine, come egli stesso
si ama. Ora, questo è qualcosa di completamente diverso da queste sottoscrizioni
per i profughi, che noi non conosceremo mai e che non sanno che li ha aiutati. Inoltre,
la maggior parte del denaro non viene data per i profughi, ma per gli stipendi, per
la logistica e per altre spese di queste "organizzazioni umanitarie". |